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Serena e la Scoperta di Spira

Da piccola aveva imparato a seguire il padre nelle sue escursioni in montagna. L’amore per la natura e soprattutto la voglia di conoscere la spingevano a trascorrere intere giornate in cerca di quelle strane presenze nelle pietre. Il padre, che le definiva “tracce del tempo”, le considerava come opere d’arte della natura, lasciate tra le rocce dagli sconvolgimenti delle masse tettoniche nelle ere antiche.

Allora non capiva il perché dei lunghi percorsi tra le colline e le montagne, a lei bastava stare all’aperto, in mezzo alla natura, con la sua fida cockerina. Spira, correva sempre avanti con il muso in giù ad annusare il terreno in cerca di prede. Il padre con le racchette e l’immancabile martellina, saggiava le rocce, dove sembravano trovarsi stratificazioni sedimentarie. Lui le raccontava che su quei monti erano esistiti mari arcaici.

Raccoglieva frammenti di marne cadute dai costoni rocciosi e poi, con secchi colpi di martello, li spaccava in due per cercare foglie, insetti, conchiglie e pesci fossili.

La zona della Pesciara di Bolca non era molto lontana. Una volta con la scuola, ma a quei tempi era ancora piccola, aveva visitato il museo dei fossili. Ne aveva solo un ricordo vago, anche se affioravano alla sua mente le immagini di grandi pesci angelo, squali, tartarughe, felci, chiocciole, conchiglie e grandi ammoniti a spirale. Le domeniche e i giorni festivi, adesso che aveva compiuto sedici anni, erano dedicati a quella missione. La madre qualche volta li accompagnava dopo aver preparato l’immancabile cesto del pic-nic, con le cose buone che solo lei sapeva cucinare. Anche lei, non di rado, si faceva trascinare nella ricerca, pur essendo la sua vera passione la musica. Lei, infatti, professoressa di musica, brava ed apprezzata violinista, suonava nell’orchestra del teatro dell’opera di Verona. Quando Serena era più piccola, durante le vacanze al mare in Sardegna, dove vivevano i nonni paterni, aveva iniziato a raccogliere le conchiglie sugli arenili di Villasimius. Adesso con il passare degli anni, queste escursioni in montagna avevano ridestato la passione per il mare e la curiosità per le scienze naturali. Spira, scorazzava con loro tra i camminamenti delle colline, fiutando il terreno a margine dei sentieri, come attratta da odori ancestrali e, più di una volta, puntava i frammenti di vita nelle stratificazioni calcaree delle ere passate, abbaiando ininterrottamente.

Un giorno, grazie alla cagnolina, in un anfratto sulla parete di un costone roccioso del torrente asciutto che stavano esplorando, tra le marne sedimentarie, trovarono un ricco deposito di quelle misteriose conchiglie fossili. Erano quasi tutte integre, del genere Nautilus più diverse bivalve. Molte di queste, non appena le lastre venivano divise in due dal magistrale colpo di martelletto, mostravano alcune camere interne rivestite da depositi di cristallo di rocca dorati. Sembrava che qualcuno avesse voluto trasformare quel tesoro naturale in preziosi gioielli. Che scoperta sensazionale! Il padre era in visibilio. Raccolsero circa duecento pezzi fossili sedimentati in quel mare antico. La loro collezione diventò improvvisamente più pregiata ed interessante, tale da competere con altri collezionisti del luogo. Alcuni anni più tardi, forse per la passione alimentata dalla mania del padre, Serena conseguì la laurea in Scienze del Mare, accrescendo le sue competenze sul mondo misterioso degli abissi e degli oceani. Ogni sua ulteriore esperienza fu in seguito finalizzata alla conoscenza delle conchiglie del mediterraneo e alla storia, ai miti e alle leggende, che sono ad esse collegate. Una recente pubblicazione scientifica, scritta a quattro mano con Mario, suo compagno e docente universitario, documenta l’uso alimentare, decorativo, apotropaico e religioso che si nascondono nelle forme e nelle misteriose spirali delle conchiglie.

CIK

 

Fonte immagine: Pinterest