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Mistery of the Salt Bride

Ci dev’essere qualcosa di stranamente sacro nel sale. Lo ritroviamo nelle nostre lacrime e nel mare. (Khalil Gibran)

Dal tuffo in quell’acqua salata, la luce aveva ricominciato a splendere su Leah, le aveva ridato la vita, tanto che in paese si era sparsa la voce che fosse una sirena venuta da chissà dove. Quell’abito nero rimasto incastrato nelle profondità marine simbolo di quel tuffo in acqua, quel senso di rinascita interiore, quel purificarsi, rigenerarsi. E quelle lacrime di gioia, miste a sale e purezza, che bruciavano il suo volto, in realtà cicatrizzavano tutte le sue ferite. Da quel giorno, ogni anno, all’alba, i due sposi salivano a bordo della barchetta ormeggiata al pontile e prendevano il largo; lei si stringeva forte forte a lui, lui continuava a remare incontro al sole, e, dopo essersi fermati in quel punto preciso del lago in cui era avvenuto il miracolo, cominciavano a fissare il fondo. Sull’acqua riflettevano i loro occhi lucidi, testimoni di qualcosa che aveva per sempre cambiato la loro vita, e in particolare quella di Leah. Un miracolo, una sorpresa del mare, che solo loro e quelle acque salate possono custodire…

Un vestito immerso nelle acque del Mar Morto, che lentamente si ricopre di bianchi cristalli di sale e perde la sua aura funesta. Un processo naturale è al centro della recente serie di fotografie realizzate dall’artista israeliana, che al fenomeno riesce ad associare un forte significato simbolico. A Londra, la galleria Marlborough Contemporary espone fino al prossimo 3 settembre la “Sposa Salata”, Salt Bride, immaginata e ritratta dall’ israeliana Sigalit Landau nella sua recente serie omonima, composta di otto fotografie in grande formato. L’artista, che ha rappresentato Israele alla Biennale di Venezia del 2011, ha ottenuto queste surreali immagini immergendo un abito nelle acque ad alto tasso di salinità del Mar Morto. Il vestito scelto per osservare, e documentare, l’affascinante fenomeno di ‘salinizzazione’ ha un valore simbolico, trattandosi dell’abito tradizionalmente indossato dal personaggio di Leah nell’opera teatrale The Dybbuk, scritta dal drammaturgo S. Anksy nel primo Novecento.
Nella rappresentazione, una giovane sposa viene posseduta da uno spirito maligno, il Dybbuk, appunto, termine che nella tradizione ebraica indica un’ anima in tormento, e quindi costretta a seguire un processo di purificazione. Ecco allora che le acque del Mar Nero rendono visivamente, nelle fotografie scattate con perizia da Sigalit Landau, proprio l’esorcismo praticato su Leah: il suo vestito nero, associato alla follia e alla morte, man mano si ammanta di cristalli di sale, che gradualmente aderiscono al tessuto e lo trasformano nel bianco e lucente abito da sposa che avrebbe dovuto essere… Quale mistero dietro la sua drammatica storia??

ALK@art

 

Fonte immagine: clbxg.com