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La Crocchiola di Pietra

Fuori d’ogni tempo me ne stavo a guardare, a interrogare le pietre con la martellina che mi aveva regalato mio nonno paterno quando avevo appena sei anni. Ad ogni traccia di natura forma provavo un’emozione a spaccare, a togliere, per trovare la meraviglia di un mondo, che un giorno mi pareva mostruoso, l’altro ancora il paradiso che s’era impietrato quando i giardinieri del creato tradirono il Creatore, forse solo per amore, per ingordigia, per sete di sapere.

Cercavo l’anima di ogni pietra, cercavo di costruire la mia anima.

Un giorno, mentre provavo a staccare dalla roccia una crocchiola a forma di lumaca, una bambina curiosa si era avvicinata, mi chiese cosa stessi facendo, risposi che cercavo la vita che nelle pietre si era fermata. Riuscii a strapparla intera, gliela donai, la guardò con meraviglia, la strinse nel petto, arrossì, i suoi occhi di cielo sprizzavano gioia, mi baciò sulla guancia, si chiamava Dora. Sentii chiamare il suo nome da lontano: sua madre la stava cercando.

Come l’acqua e il pane per altri trent’anni mi cibai di ogni conoscenza, e mai mi saziai, mai mi dissetai.

E’ l’alba del 23 luglio del 1863, da un mese ho fatto ritorno al mio paese, il cielo è simile a quello di quando vent’anni fa partii per intraprendere i miei primi studi di geologia, e malacologia. Torno in Sicilia per conto dell’università della Sorbona per incontrare il Barone di Mandralisca Enrico Pirajno, nobile generoso e famosissimo scienziato, tanto apprezzato anche per le sue pubblicazioni frutto delle sue ricerche, sulle conchiglie marine, terrestri e dulciacquicole.

Ieri son tornato al podere dei miei avi, lo sconforto nel vedere l’abbandono e le rovine di ogni cosa è stato mitigato dal sorriso e dagli occhi che ho incontrato. Nel roseo e chiaro volto incorniciato da un merletto di pizzo ricamato, ho riconosciuto le perle cerulee.

Un timido e pudico inchino, che strano monile che indossa. Una crocchiola.

Ma certo è Dora! E mi ha riconosciuto. Ricordo l’innocente bacio che mi diede quando da ragazzino gli regalai la conchiglia, il nautilus di pietra, la natura nella sua massima espressione, la voluta, il moto continuo, il rapporto aureo, il numero che misura l’infinito dell’universo, il senso dell’equilibrio, della proporzione. Da tempo riconosco nella malacos non solo il divino disegno, ma anche, la perfezione della natura come percezione dell’amore.

Sento il battito del mio cuore, il pensiero e il desiderio di rivederla, mi inebria e mi emoziona. Dovrò imparare a rivolgere il mio sguardo non solo al passato, ma risalire da esso vorticando dal profondo, per immaginare il futuro.

Potrò tornare ad amare e a sperare.

Ramarro

 

Fonte immagine: lucianarasicci.it